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276 Capitolo ottavo


I cozzi si succedevano incessantemente mandando di frequente i marinai a gambe all’aria e facendo urlare spaventosamente i cani. Le costole della nave tremavano, scricchiolavano e gli alberi oscillavano fino alla scassa.

Fortunatamente il tempo si manteneva, se non bello, almeno calmo. Il cielo era coperto, però le nebbie non scendevano a coprire il mare.

Il freddo invece era aumentato, toccando talvolta i 7°, ma nessuno se ne lagnava di certo. Erano rose in confronto ai terribili freddi dell’inverno polare.

Fu ai primi di settembre che la nave potè giungere, dopo una traversata molto faticosa, nella baia di Teplitz.

Questa baia si apre sulle coste occidentali della Terra Principe Rodolfo, a 81° 45’ di latitudine, ed è una delle più ampie che si trovano in quell’immenso arcipelago chiamato di Francesco Giuseppe.

L’ancoraggio vi era buono, ma non era escluso il pericolo che i ghiacci potessero entrare, bloccando completamente la nave.

Al largo ve n’erano già moltissimi, di dimensioni notevoli, i quali, spinti dal vento e dalla corrente, accennavano già a stringersi verso la costa.

Comunque fosse, quel rifugio fu salutato con vero entusiasmo da tutti. Quella continua lotta contro i ghiacci che durava già cinque settimane aveva stancato assai e marinai e ufficiali; tutti desideravano un po’ di riposo sulla terra ferma.

Erano d’altronde giunti ad una latitudine molto elevata, ossia a soli otto gradi dal polo, trovandosi quella baia a 81° 43’ di latitudine nord e a 38° di longitudine est.

– Otto gradi! – aveva esclamato il bollente Cardenti. – Una corsa per un marinaio!...

– Nemmanco, – aveva soggiunto Canepa. – Una semplice passeggiata!... –

Ancorata solidamente la nave, la quale doveva servire da quartier generale, italiani e norvegesi fecero subito i preparativi di svernamento per passare alla meno peggio la lunga notte polare, già non molto lontana.