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232 Capitolo terzo


Già li credevano a portata dei loro vetterli, quando i due anfibi, che da qualche tempo davano segni d’inquietudine, si trascinarono frettolosamente sul margine del banco, lasciandosi cadere pesantemente in acqua.

– Perduti! – esclamò il tenente.

– Forse non ancora, – rispose il macchinista. – Possono essersi nascosti sotto il banco di ghiaccio e siccome hanno bisogno di tornare a galla per respirare, non è improbabile che si mostrino ancora.

– Corriamo!... –

Con passo veloce superarono la distanza che li divideva dalla spiaggia e si arrischiarono sul banco di ghiaccio il quale non cedette sotto i loro passi, quantunque crepitasse minacciosamente.

I tre cacciatori, giunti all’orlo, si curvarono sull’acqua e videro distintamente un’ombra gigantesca guizzare sotto i flutti, portandosi verso il largo.

– Ah! I bricconi! – esclamò il macchinista. – Fuggono fuori dalla baia!...

– Ecco che riappariscono per respirare, – disse il tenente.

– Ma sono a cinquecento metri e non mostrano che il naso, – rispose il macchinista.

– Che non si possa catturarne nemmeno uno?

– Ne troveremo altri, signor tenente. Non diventano radi che all’avvicinarsi dell’inverno e siamo ancora lontani da quell’epoca.

– Ditemi, signor Stökken, è vero che una volta i trichechi erano immensamente numerosi su queste terre?

– Una volta sì, ma ora scarseggiano dovunque. Io so che duecento anni or sono, nella sola isola degli Orsi se ne uccisero mille in una sola giornata.

– Mille avete detto! – esclamò il tenente.

– Sì, signor Querini, mille, e quei cacciatori erano tutti norvegesi. So pure che al principio del 1700 se ne uccidevano ancora dai settecento agli ottocento in una stagione di caccia. Ora bisogna sudare molto e navigare a lungo per ucciderne due o trecento. Tuttavia i trichechi sono ancora numerosi sulle spiagge dello Spitzbergen.