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La caccia ai trichechi 231


Chi li vede per la prima volta, non può fare a meno di provare un certo senso di terrore. Infatti l’aspetto di questi mostri è tutt’altro che rassicurante, specialmente quando mostrano minacciosamente le loro zanne, muggendo come tori.

Specialmente i pescatori novellini si spaventano assai, perchè i trichechi, quando sono in grosso numero, non hanno timore di accostarsi alle scialuppe.

Spinti da una irresistibile curiosità, poichè ferocia non ne hanno, appena scorgono una scialuppa le muovono incontro con gran furia, sollevando delle vere ondate e, raggiuntala, cercano di aggrapparsi, con le zanne, ai bordi, per meglio guardare le persone che la montano.

Lasciati tranquilli si accontentano di seguire la barca, muggendo e nuotando vigorosamente; assaliti cercano di rovesciarla e qualche volta vi riescono.

In mare possono talvolta riuscir pericolosi, in terra la cosa è diversa, non movendosi che stentatamente. Non cercano di opporre resistenza e si lasciano ammazzare con facilità.

È però difficile accostarli quando sono sulla spiaggia, avendo essi la precauzione di disporre delle sentinelle quando vogliono dormire.

Il tenente Querini, il macchinista e la guida, dopo d’aver percorsa una valletta, erano sboccati in mezzo ad alcune rocce che distavano qualche centinaio di metri dai due trichechi.

– Temo di vederli sparire prima che possiamo giungere a buon tiro, – disse Stökken.

– E per quale motivo?

– Il vento soffia dietro di noi e gli anfibi che si trovano sottovento ci sentiranno. Ecco, guardate: hanno interrotto i loro giuochi e rizzano la testa.

– I diffidenti!... – esclamò il tenente, con malumore.

– Sono furbi, signore. I continui massacri fatti dai balenieri li hanno resi prudenti.

– Affrettiamo la marcia; forse giungeremo a buon tiro prima che si inabissino. –

I tre cacciatori, tenendosi nascosti dietro le rocce, raddoppiarono il passo, cercando contemporaneamente di non far rumore.