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230 Capitolo terzo

andare però questi fiori e occupiamoci dei trichechi, o quegli anfibi se ne andranno senza aver fatta la conoscenza coi nostri fucili.

– E cerchiamo di non farci scorgere prima di essere a tiro, signor tenente, – aggiunse Stökken, il quale parlava abbastanza correntemente il francese. – Io conosco molto bene quegli animali e so quanto sono diffidenti.

– Li avete cacciati altre volte?

– Sì, signor tenente. Ho preso parte ad una spedizione all’isola Jean Mayen.

– Allora vi daremo la carica di capo cacciatore, – disse il Querini ridendo.

I due anfibi non si erano ancora accorti della presenza dei loro nemici; continuavano ad avvoltolarsi fra la neve che copriva il banco di ghiaccio, godendosi i pallidi raggi del sole. Questi abitanti dei climi freddissimi si trovano ancora in gran numero sulle isole artiche ed anche sul continente antartico, nonostante la caccia feroce, spietata, che da tre secoli danno loro i pescatori inglesi, americani, russi, danesi e norvegesi.

Dagl’inglesi vengono chiamati cavalli marini, dai norvegesi rosmar, dagli esquimesi awak, ma sono meglio conosciuti sotto il nome di trichechi o di morse.

Nel loro pieno sviluppo sono lunghi ordinariamente quattro metri e qualche volta anche di più, toccando non di rado anche i cinque, con una circonferenza di tre o quattro metri. Il loro peso varia fra i novecento ed i mille chilogrammi.

Hanno la testa piccola in proporzione alla rotondità del corpo, con un muso corto e largo, il labbro superiore assai carnoso e più sporgente dell’inferiore, baffi grossi e sempre irti come quelli di un gatto in collera e gli occhi piccoli e brillantissimi.

I loro denti canini, che sporgono fuori dalla mascella superiore, sono lunghi ottanta ed anche novanta centimetri e danno a questi anfibi un aspetto formidabile. Sono di un avorio bellissimo, compatto, con una grana più fina di quella degli elefanti e pesano ciascuno perfino tre chilogrammi. La pelle di questi animali è sprovvista di peli, di colore grigio più o meno chiaro ed è rugosa, irta di prominenze che derivano da ferite, essendo di umore battagliero.