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Addio Europa! 133

siano alti più di sessanta centimetri e tirano anche bene, essendo capaci di percorrere cinquanta chilometri al giorno portando, solamente in dieci, un carico di ben quattrocento chilogrammi. Si accontentano anche di poco, essendo abituati a cacciare per loro conto, però, come si disse, sono d’una obbedienza molto dubbia.

Essendo della razza dei lupi, e ne hanno anche le forme, non si affezionano mai ai padroni, anzi talvolta costituiscono un vero pericolo. Vanno, per paura della sferza, ma non sempre la temono e trascinano sovente le slitte attraverso a burroni e crepacci per correre dietro a qualche volpe, senza curarsi della vita delle persone che conducono.

Per di più vanno soggetti di frequente a una malattia contagiosa, ad una specie di cholera, che li distrugge completamente, lasciando l’esploratore nell’impossibilità di continuare la marcia o di ritornare alla nave.

Il luogotenente Payer della marina austro-ungarica, l’eroe della leggendaria spedizione del Tegetthoff e poi scopritore della Terra di Francesco Giuseppe, fu il primo a rinunciare ai cani esquimesi, sostituendoli coi danesi e con quelli di Terranuova, però i risultati non sembra che siano stati tali da incoraggiarlo.

Nansen ne volle seguire l’esempio, scegliendo invece quelli di razza siberiana, più atti a sfidare i grandi freddi della regione polare, e meglio addestrati al servizio delle slitte, e non ebbe a dolersene. Trontheim fu il fornitore, e quest’uomo, per consiglio del fortunato esploratore polare, doveva pur esser quello che doveva consegnare a S. A. R. il duca degli Abruzzi, i cani necessarii per la futura esplorazione.

Un tipo molto curioso quell’allevatore di cani, tale anzi da meritare qualche cenno.

Prima della famosa spedizione di Nansen, nessuno lo conosceva. Sepolto fra le nevi siberiane, non aveva nessuna notorietà, nè all’est nè all’ovest del grande impero russo.

Quando l’esploratore norvegese, convinto della grande utilità di possedere buoni cani, cercò di provvedersene, aveva avuto la buona idea di rivolgersi al barone Edoardo Foll, di Pietroburgo, già notissimo pei suoi viaggi in Siberia.