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— Se non fossimo scappati prima, a quest’ora non saremmo più vivi.
— È vero, mastro Simone, — disse Josè Mirim, che assisteva all’interrogatorio. — Gli Apaches non risparmiano mai i prigionieri di guerra e, se questi uomini fossero stati condotti all’atepetl, non sarebbero sfuggiti alla tortura del palo.
— Hai udito, mandrillo? — gridò Blunt.
Il Re dei Granchi questa volta scattò in piedi come, una belva infuriata, e alzò il pugno sullo scrivano, urlando:
— Ti accoppo!
Josè Mirim, a cui forse non spiaceva la mordacità e l’audacia del giovane, afferrò il polso del negro, dicendogli:
— Eh, lasciatelo dire. Si sfoga come può e la lingua non ha mai rotte le ossa ad alcuno.
— Più tardi lo scorticherò.
— Sì, ma non ora. Questi uomini possono diventare preziosi. Pazientate, mastro Simone.
— Non irritatelo più, Blunt, — diceva frattanto Harris allo scrivano, che stava per aprire la bocca, per lanciare probabilmente qualche altra insolenza. — Siamo nelle sue mani.
— No, nelle sue zampe, — corresse Blunt.
— Basta, amico.
Il Re dei Granchi, dopo essersi sfogato con una filza di bestemmie e di minacce da far rabbrividire, riprese, rivolgendosi ad Harris: — Chi era l’uomo che vi guidava, e che uccise il montone di montagna?
— Un pastore che abbiamo incontrato sull’orlo del Gran Cañon, e che fuggiva dinanzi ai Navajoes, i quali gli avevano distrutto il rancho.
— Non era un cow-boy del colonnello Cody?
— Di Buffalo Bill? No.
— Volete ingannarmi?
— Non ne vedo il motivo.
— Perchè allora è fuggito, vedendoci?
— Sfido io, lo avete subito preso a fucilate e lui credette di aver a che fare con banditi di Will Rook!
— Lo conosceva quell’uomo?
— Sembra.
— Non vi ha detto dove si trovava?
— No.
— Ma lo sappiamo noi. Per ora basta. Riprenderemo più tardi questa conversazione.
— Tanto più che il montone è arrostito a puntino, e noi abbiamo una fame tremenda, — disse Blunt.