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— Ebbene, signor Harris? — chiese Blunt all’ingegnere, che osservava attentamente la parete.
— Da questa parte la scalata è impossibile, — rispose il giovane, con accento scoraggiato.
— Che non esista nessun sentiero, dunque?
— 1 miei timori tornano a riprendermi.
— Ossia?
- Temo che esista un solo passaggio da questa parte, quello che ci fecero percorrere gli Apaches. Se non fosse guardato, sarebbe per noi una fortuna, perchè ci condurrebbe direttamente sotto il cliff.
— Che sia molto lontano?
— Non mi pare, — rispose Harris.
— Seguendo la parete lo troveremo?
— Certo.
— Cerchiamolo, signore.
Bevettero alcuni sorsi di quell’acqua gelata, poi si misero a seguire la muraglia, aprendosi faticosamente il passo fra gli sterpi che crescevano alla sua base.
Sulla loro destra, ad una distanza di due o trecento passi, la foresta continuava.
Di quando in quando, svegliati e spaventati dal rumore che facevano i due californiani, alcuni animali e anche grossi volatili sì alzavano fra i cespugli, e scappavano con velocità fulminea, riparando nella vicina boscaglia.
Per lo più erano antilopi, alte come vitelli, di forme eleganti, sottili e slanciate, dalle corna lunghe e finissime verso la punta, selvaggina assai apprezzata dagli scorridori delle praterie. Oppure daini dalla coda nera, più grossi dei daini comuni, con gli orecchi lunghi come quelli dei muli, e le corna invece brevi; o coppie di vakon, chiamati anche galli dei boschi, un piatto da re, che il buon Blunt vedeva scomparire con grande rincrescimento, e che non poteva certo raggiungere col suo bastone.
Verso la mezzanotte, dopo aver superati alcuni enormi sproni rocciosi, pervenivano ad uno stretto passaggio, rinserrato d’ambo le parti da rupi colossali.
Entrambi si erano fermati.
— Non vi sembra che questo sia il sentiero per cui siamo discesi? — aveva chiesto Blunt.
— Sì, — rispose l’ingegnere. — È questo, mi ricordo bene.
— Lo saliamo?
— Vediamo prima se è guardato dagl’indiani.
— Non vedo nessuno.
— Qui, ma più innanzi?
— Decidiamo, signore.