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— Sperò che Victoria si rammenterà di me.
— Uhm! Mi fido poco di lui, mia cara Annie. Anche i più influenti sakem non possono sempre imporsi ai vecchi del grande consiglio.
— Ah! Se avessi un coltello! — disse in quel momento Blunt.
— Che cosa vorreste fare contro tanti guerrieri formidabilmente armati? — chiese l’ingegnere.
— Non certo impegnare la lotta, bensì tagliare i nostri legami.
— E tentare la fuga?
Blunt non rispose: si era alzato ed ascoltava attentamente.
— Che cosa avete? — chiese Annie.
— Udite questo cupo fragore, miss? — chiese lo scrivano.
— Fin da quando siamo entrati.
— - Da che cosa credete che provenga, signor Harris?
— Deve essere prodotto da un torrente sotterraneo — rispose l’ingegnere. — Questo tempio s’appoggia alla grande parete che scende nel Gran Cañon, e tutte quelle immense rupi sono più o meno traforate da torrenti che scendono dai nevai.
— Che vi sia una comunicazione fra il tempio e quel corso d’acque?
— Chi potrebbe saperlo? Ma perchè mi fate questa domanda?
— Se si potesse fuggire di là?
Harris stava per rispondere, quando la fitta stuoia che serviva di porta al tempio fu alzata e alcuni indiani comparvero, muniti di torce di legno d’ocote, che spandevano intorno una luce rossastra.
Un guerriero, coperto di penne e d’orpelli, li precedeva, avanzandosi con passo maestoso: si fermò dinanzi ai prigionieri, e’ disse con voce gutturale:
— Ahu! Io sono il gran sakem Victoria.
Annie, Blunt e Harris si erano alzati guardando con viva curiosità quel celebre capo delle tribù degli Apaches, che godeva fama di essere invincibile e da anni e anni teneva testa alle truppe del governo americano, facendo tremare le guarnigioni dei fortini del Colorado.
Victoria era un uomo di statura piuttosto alta e di forme robuste; la sua pelle era bruna più che rossastra, i suoi occhi neri e mobilissimi, dal lampo cupo; la sua capigliatura era così lunga che gli giungeva al di sotto della cintola.
Reduce forse da una scorreria, indossava ancora il gran costume di guerra. Sul suo viso, specialmente sulle gote, erano dipinte linee nere e rosse, che gli davano un aspetto terribile e scendevano a zigzag, a guisa di folgori.
Dal capo alle piante, lungo tutto il dorso, portava una specie di criniera, formata di penne dì tacchino selvatico, che gli dava l’aspetto d’un istrice mostruoso.