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— Sperate di trovare un appoggio nella figlia del capo?

— Sì, amico mio, conto su di lei per strapparci alla morte. Se fossimo caduti nelle mani dei Navajoes la cosa sarebbe stata ben diversa.

— Non ho mai saputo che aveste qualche relazione fra gli Apaches.

— Vi ho detto che mio padre, prima di essere minatore e proprietario di miniere, era stato trafficante.

— E questo animale d’Orso Valente non l’avevate mai veduto prima? — chiese Blunt.

— No.

— Che ci scotenni prima di giungere al suo villaggio?

— No, se non tenteremo la fuga.

— Ed infatti l’indiano scuoia il nemico durante la lotta, ma non il prigioniero, — disse Harris.

— Non già per risparmiarlo però, — disse Blunt.

— Anzi, per farlo soffrire di più al palo della tortura.

— Birbanti! Potesse toccare questa sorte a quel cane di Re dai Granchi! A proposito: che quei banditi si siano allontanati senza aver liberato il colonnello?

— E’ questo il pensiero che mi tormenta, — disse Harris.

— E preoccupa me pure, — aggiunse Annie. — Che quel valoroso ed i suoi bravi compagni siano rimasti rinchiusi là dentro, a morire di fame?

— Hanno nove cavalli da mangiare, miss, — rispose Blunt, — e poi quegli uomini sapranno cavarsela egualmente, ora che ci penso.

— In qual modo? — chiesero ad una voce Annie ed Harris.

— Intrecciando un’altra corda. Io ho udito Buck dire al colonnelli, quando stavano preparando quella che servì a noi: «Se non basterà, scuoieremo un cavallo, e avremo quanta pelle vorremo».

— Mi si allarga il cuore, — disse Harris. — Io temevo che a quei bravi uomini dovessero mancare i mezzi per lasciare il cliff. Comincio a sperare.

— Che cosa, signor Harris?

— Di rivederli presto. Buffalo Bill, sapendo che siamo nelle mani degli indiani, non ci abbandonerà al nostro destino. Ne ha salvato molti uomini bianchi e non dubito che riesca anche questa volta.

— Tacete, Harris, — disse Annie, udendo dei passi dietro di sè. — Vi sono uomini che comprendono l’inglese, e potrebbero udirvi.

Un indiano comparve un momento dopo, portando su di un piatto d’argilla, rozzamente foggiato, un pasticcio chiamato molchaschi, fatto di uova di storione condite con lamponi selvaggi, di cibo prediletto degl’indiani, con un contorno di honcyniè.