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LA SOVRANA DEL CAMPO D'ORO 9


Aveva il viso d’un ovale perfetto, d’una tinta leggermente rosea, gli occhi d’un azzurro profondo che spiccavano vivamente sotto le sopracciglie dall’arcata magnifica, una boccuccia da bimba colle labbra rosse come il corallo, ed i capelli biondi come l’oro.

Salutò il pubblico col frustino che teneva in mano e con un grazioso sorriso, mentre da tutte le parti rintronavano urrah fragorosi, accompagnati da applausi.

— Hipp!... Urrah per miss Annie!... Urrah per la Sovrana del Campo d’Oro!... Urrah!...

Miss Annie ringraziava abbassando il capo. Pareva tranquillissima e punto preoccupata dal pensiero che la sorte poteva darle per marito un vecchio celibe, o qualche brutto piantatore negro o, peggio ancora, qualche lurido cinese.

Gli urrah e gli applausi durarono un buon quarto d’ora, ossia fino a che il notaio fece squillare poderosamente il campanello, annunciando che si stava per procedere all’estrazione del numero.

A quei clamori assordanti era subito successo, come per incanto, un profondo silenzio. Si sarebbe detto che quelle tre o quattromila persone, che si pigiavano nella sala, non respiravano più.

Miss Annie era rimasta tranquilla, cogli occhi fissi sulla bussola contenente i numeri; ma il suo bel viso era diventato in quel momento lievemente pallido ed una leggera ruga si era delineata sulla sua fronte.

Il notaio fece girare la ruota otto o dieci volte, poi introdusse una mano attraverso lo sportello e prese a caso un biglietto.

Un vivo momento di curiosità, e anche di ansietà, aveva fatto ondeggiare quella massa di gente. Parecchi giovani erano saliti su delle sedie, per meglio vedere.

Miss Annie, immobile come una statua, teneva sempre gli occhi fissi sulla ruota. Era però ancora pallida.

Il notaio, fra il silenzio profondo che regnava nella vasta sala, tanto profondo che si sarebbe potuto udire una mosca volare, svolse il biglietto, poi con voce squillante gridò:

— 861.

Un grido di trionfo era echeggiato in fondo alla sala, fra le ultime file degli spettatori, seguito quasi subito da un urlo di rabbia e di disperazione, che erasi udito invece verso le prime file.

Questo secondo grido era stato mandato da un uomo che si teneva ritto su una sedia, a pochi passi dal palco.

Tutti gli occhi si erano fissati su di lui, credendo gli spettatori di essersi ingannati sul vero tono di quell’urlo e immaginando che quel giovane fosse il fortunato vincitore.

Era un bellissimo giovanotto, sui ventotto o trent’anni, di sta-