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La scomparsa dell’amazzone | 81 |
Capitolo XII
La scomparsa dell’amazzone
Il mpungu che era uscito dalla macchia, come si disse, si era arrestato su di uno spazio scoperto, come se fosse indeciso fra l’andare innanzi od il ritornare sotto l’ombra oscura degli alberi.
Il suo udito, che è finissimo, doveva averlo già avvertito della presenza degli uomini o per lo meno di nemici forse pericolosi e si era fermato in quella posa che è speciale a tali scimmioni, cioè colle ginocchia un po’ piegate, il dorso curvo e le braccia penzoloni. Pareva che ascoltasse con profonda attenzione, mentre i suoi piccoli occhi, che brillavano in mezzo al pelame quasi nero del suo muso, scrutavano le piante vicine con inquietudine.
Stette così parecchi minuti, poi si lisciò più volte la folta pelliccia grigiastra che sul petto era assai lunga, almeno otto o dieci centimetri, quindi si rimise in cammino, tenendo però il capo rivolto verso l’albero sotto il quale si tenevano nascosti Antao ed il negro, come se avesse indovinato che il pericolo stava da quella parte.
Giunto presso un altro macchione si fermò ancora qualche istante, fissando sempre l’albero, poi volse le spalle e scomparve definitivamente sotto la cupa ombra dei macchioni.
— Se n’è andato, — disse Asseybo, respirando liberamente.
— Sì, — rispose Antao, con un po’ di rincrescimento. — Avrei però preferito che si fosse avvicinato al nostro albero.
— Per farci uccidere?... Era un vecchio maschio e quelli sono pericolosissimi, padrone.
— Come sai tu che era un vecchio maschio?
— Perchè aveva il pelame grigiastro, mentre i giovani lo hanno bruno più o meno oscuro.
— Spero però di ucciderlo egualmente.
— Non toccarlo, padrone.
— Alfredo non lo risparmierà. Domani mattina andremo a scovarlo. —
Potendo la scimmia gigante ritornare da un momento all’altro, il portoghese ed Asseybo affrettarono il passo per giungere