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Il «mpungu» | 77 |
— Zitto, padrone.
— Le scimmie?...
Invece di rispondere, Asseybo aveva fatto tre o quattro salti indietro e guardava la cima d’un grande sicomoro con due occhi che esprimevano un profondo terrore.
— Cosa cerchi? — chiese il portoghese che aveva per precauzione, armata rapidamente la carabina.
— Zitto, padrone, — mormorò il negro con un filo di voce. — Il mpungu!...
— Che un leone mi mangi vivo, se io ti comprendo.
— Il mpungu, padrone. Zitto o siamo perduti.
— Ma io ti dico che non ho paura di nessun mpungu del mondo, dovesse essere il diavolo questo signore mpungu.
— Guarda lassù, padrone. —
Il portoghese, che non aveva capito nulla affatto di quanto aveva detto il negro e che non comprendeva la paura di lui, alzò gli occhi e vide, a circa otto metri da terra, una specie di nido di grandi dimensioni, costruito con alcuni grossi bastoni appoggiati alle biforcazioni dei rami.
— Il nido di qualche grosso uccello forse? — chiese. — Fosse anche un’aquila, non trovo il motivo di spaventarsi.
— No, d’un uccello, padrone, ma di una grande scimmia, tanto robusta da sfidare dieci uomini.
— D’un gorilla?... Diamine, la cosa cambia aspetto e credo che tu abbia ragione di spaventarti. Ma caro Asseybo, non spira buon’aria per noi qui, se si tratta d’uno di quei formidabili scimmioni. L’hai veduto il tuo pum... mpin... Lampi!... La tua bestiaccia infine?...
— No ed il nido mi sembra vuoto, ma il mpungu può ritornare da un momento all’altro e farci a pezzi.
— Prima che ritorni lui, torniamo noi al campo. —
Il portoghese, che aveva udito parlare della forza prodigiosa e della ferocia di quei mostri villosi, girò lestamente sui talloni e preceduto dal negro prese la via del campo.
Il sole tramontava rapidamente e l’oscurità si addensava presto sotto la foresta. Bisognava affrettarsi per evitare dei cattivi incontri ed anche per non smarrirsi, cosa facilissima in mezzo a quelle migliaia di tronchi, ed a quel caos indescrivibile di radici, di liane e di cespugli fittissimi.
Già i pipistrelli giganti cominciavano a lasciare gli alberi ai