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46 | Capitolo settimo |
Discendente d’una dinastia di re molto potenti, ma tributari del Dahomey, era stato il primo a rendersi indipendente e dopo d’aver scacciati e fatti in parte decapitare i suoi vecchi consiglieri, nemici acerrimi della razza bianca, aveva aperto il suo porto e la sua capitale al commercio europeo.
Più intelligente degli altri e meno barbaro, aveva a poco a poco accordata una certa libertà al suo popolo, ed aveva abolito, come dicemmo, gli orribili sacrifici umani che distruggevano buona parte dei suoi sudditi.
Abituato a ritenere gli uomini bianchi come di razza superiore, vedendo entrare Alfredo, che in altre occasioni aveva già conosciuto, s’affrettò ad alzarsi, lasciando ricadere la lunga veste di seta rossa che lo copriva come un ampio mantello e gli porse la mano, dicendogli cortesemente:
— Sono ben felice di rivederti dopo una così lunga assenza. Quale motivo ti conduce a Porto Novo? Forse che ti occorre il permesso di fondare qualche altra fattoria?
— No, — rispose Alfredo. — Un motivo ben più grave ha indotto me ed il mio amico Antao Carvalho a visitare V. M. Sapete che le vostre frontiere sono state violate?...
— No, ma è una cosa che succede così di frequente, da parte dei malvagi popoli che circondano il mio regno, da non preoccuparmene più. So che dopo d’aver fatta qualche razzia di uomini e di animali si ritirano.
— Ma questa volta sono state le genti del Dahomey. —
Il re, nell’apprendere quella notizia, si fece più oscuro in viso e manifestò una viva inquietudine.
— Forse che Geletè vuole muovermi guerra?... — chiese con una certa trepidanza.
— Non a te, ma l’ha mossa a me. I suoi guerrieri hanno saccheggiata e poi incendiata la mia fattoria.
— Ciò è grave. Si sono ritirati poi?...
— Sì, subito.
— Ecco una buona notizia, — disse S. M. negra, respirando liberamente.
— Per Voi, ma non per me, poiché ritirandosi mi hanno rapito il mio giovane fratello.
— Mi rincresce per te.
— Ma non basta che vi rincresca, — disse Alfredo con voce