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I tenebrosi disegni del cabecero di Geletè 37


Capitolo VI

I tenebrosi disegni del cabecero di Geletè

La giovane guerriera, quantunque così malconciata dagli artigli e dalle zanne del leopardo, aveva abbandonata la piccola radura che si trovava a tre o quattrocento passi dalla prima e si era trascinata verso il gigantesco sicomoro, nascondendosi in mezzo ad un fitto macchione che sorgeva sul margine del bosco.

Udendo il fischio dell’uomo bianco che l’aveva salvata dalla morte, si era affrettata ad abbandonare il nascondiglio ed a mostrarsi all’aperto. Quello sforzo doveva però averle causato un acuto dolore, poichè non potè frenare un lungo gemito.

— Non temere, ragazza, — disse Antao, avvicinandosele. — Noi ti guariremo, è vero, Alfredo?

— Sì, — disse il cacciatore, — ma a condizione che parli. —

Poi parlando la lingua dei uegbe disse all’amazzone:

— Noi siamo venuti per curarti.

— Grazie, padrone, — rispose la negra. — Sapevo che gli uomini bianchi non sono usi a mentire e come vedi t’aspettavo, mentre avrei potuto fuggire coi miei compatrioti.

— Coi tuoi compatrioti!... Sono tornati qui?...

— Sì, hanno perlustrata tutta la foresta, sperando forse di trovarti.

— E tu ti sei nascosta invece?

— Sì, padrone.

— Perchè?...

— Perchè tu mi hai salvata la vita e sono tua schiava.

— E mi seguirai sempre?...

— Dove tu vorrai.

— E mi sarai fedele?...

— L’ho giurato sui miei feticci.

— Lo vedremo.

Poi volgendosi verso il suo servo:

— Taglia dei rami e improvvisa una barella. Questa donna per ora non può camminare. —

Quindi scoprì le ferite dell’amazzone che alla notte aveva medicate alla meglio, le lavò accuratamente con dell’acqua fresca