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32 Capitolo quinto

La sua felicità ormai era completa, e Alfredo, tanto ricco da non aver più bisogno di affaticarsi nei suoi commerci, poteva dedicare le sue giornate alla sua passione favorita in compagnia di Antao, che si era deciso di passare parecchi mesi insieme all’ex agente di suo zio, quando agli ultimi dell’aprile 1878, accaddero inaspettatamente gli avvenimenti precedentemente narrati.

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La ritirata dei dahomeni era stata così rapida, da far perdere ogni speranza di poterli ormai raggiungere, essendo quasi tutti i negri infaticabili camminatori, tali da poter superare i più lesti europei e da gareggiare perfino coi cavalli.

Uccisi e decapitati i difensori, secondo il loro barbaro uso, rapito il fanciullo, saccheggiata e poi incendiata la fattoria, si erano affrettati a raggiungere i grandi boschi del settentrione, forse per non farsi sorprendere dai guerrieri del re Tofa, sul cui territorio avevano compiuta l’aggressione.

Non avevano lasciato indietro che due dozzine di cadaveri fra i quali alcuni corpi di amazzoni, cadute sotto il piombo dei difensori della fattoria; e delle ricchezze racchiuse nei magazzini non avevano abbandonato che i barili d’olio d’elais, gran numero dei quali erano però stati poi distrutti dal fuoco.

Alfredo, rimessosi dal fiero colpo, si era cacciato fra le fumanti rovine del suo stabile, sperando di poter salvare qualcuno dei suoi fedeli servi che avevano opposto una breve, sì, ma disperata resistenza, ma non aveva trovato che i loro cadaveri decapitati e mezzo arsi dalle fiamme. I suoi quattro servi che lo seguivano nelle cacce, il suo intendente ed i suoi sei schiavi erano caduti tutti al loro posto, difendendo il padroncino.

— Miserabili!... Miserabili!... — ripeteva il povero siciliano, con voce cupa. — Tutto distrutto, tutti uccisi e il mio Bruno rapito!... Cosa accadrà del povero fanciullo, nelle mani di quei barbari?... Ma cos’è che vuol fare di lui quell’infame Kalani?... Si è vendicato finalmente quel tristo, ma lo ucciderò un giorno, dovessi andarlo a cercare ad Abomey.

— Coraggio, mio povero amico, — diceva Antao. — Lo libereremo un giorno e puniremo quell’uomo che ti ha rovinato. Metto a tua disposizione il mio braccio e le mie ricchezze.

— Non è delle ricchezze che io ho bisogno, Antao, ma del tuo braccio. Questa fattoria non rappresentava che la decima