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28 | Capitolo quarto |
— Tu.... Asseybo!... — esclamò il cacciatore.
— Fermati, padrone, laggiù vi è la morte.
— Non temo la morte io, — urlò Alfredo, con esaltazione. — M’hanno incendiata la fattoria?
— Sì, padrone, e l’hanno saccheggiata.
— E mio fratello?...
— Perduto.
— Gran Dio! Ucciso da Kalani?
— No, rapito.
— Da Kalani?...
— Sì, da lui.
— Sono fuggiti?...
— Stanno ritirandosi.
— Ma posso raggiunger ancora quei ladri.
— Non osarlo, padrone. Sono almeno duecento.
— Maledizione su di loro!... Me l’hanno rapito! Povero fanciullo!... Venite, lo voglio!...
— Alfredo, — disse Antao, arrestandolo. — I rapitori possono ucciderti. Non precipitiamo le cose e cerchiamo di essere prudenti per ora; i tuoi nemici possono attenderti presso le rovine della fattoria. Aspettiamo l’alba, poi vedremo cosa si potrà fare.
— Io non temo nè Kalani, nè i suoi uomini! — gridò Alfredo con furore. — Vieni, Antao, vieni Asseybo!... Noi daremo addosso ai rapitori.
— Ma sono molti, padrone, e tutti armati di fucili, — disse il negro.
— I miei uomini si uniranno a noi.
— Temo che siano stati tutti uccisi, padrone. Quando sono balzato dalla finestra per non venire bruciato vivo, non ve ne erano che due soli vivi.
— Non importa, siamo in tre e tutti armati. —
Era impossibile trattenere lo sventurato cacciatore, il quale era in preda ad una esasperazione indicibile. Il portoghese, comprendendo che se non l’avesse seguìto sarebbe partito solo, si decise a cedere.
— Ebbene, andiamo, — disse, — e guai al traditore! —
Alfredo era già partito correndo, sperando di giungere sul luogo dell’incendio prima della ritirata dei rapitori, ma Antao, accusando una stanchezza estrema causata da quella lunga