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26 | Capitolo quarto |
le carni, le fasciò, poi prese il coltellaccio ed il fucile a pietra e li mise accanto alla donna, dicendo:
— Se qualche animale ti assale, difenditi. Fra breve l’alba sorgerà e non correrai alcun pericolo. Se vorrai attenderci, ti prometto di salvarti.
— Grazie, mio signore, — rispose l’amazzone.
Alfredo stava per lanciarsi attraverso la foresta, quando si arrestò un istante, poi tornando rapidamente verso la donna, le disse:
— Una domanda ancora. Io avevo lasciato un uomo nella radura vicina, uno dei miei servi e non l’ho più ritrovato. Sai dirmi cos’è avvenuto di lui?
— È stato preso dai miei compagni.
— Lo hanno ucciso?...
— No, l’hanno fatto prigioniero e condotto via.
— Grazie. Andiamo, Antao, e più lesti dei cervi. —
I due cacciatori abbandonarono l’amazzone che era ricaduta fra le erbe e si misero a correre per la foresta, seguendo il sentiero che attraversava la radura del grande sicomoro.
Alfredo non rispondeva più alle domande del suo compagno. Tutta la sua attenzione pareva rivolta alla sua fattoria che in quel momento stava forse per correre un grave pericolo, cercava quindi di guadagnare più via che poteva.
Non camminava, correva come un’antilope, sfondando con impeto irresistibile i rami che si allungavano sul sentiero e recidendo con furiosi colpi di coltello, le liane che gl’impedivano il passo.
Il portoghese non abituato alle lunghe marce e tanto meno alle corse prolungate, lo pregava di tratto in tratto d’arrestarsi per concedergli un po’ di riposo, ma il cacciatore invece precipitava sempre più la corsa.
Qualche volta però si fermava, ma per tendere gli orecchi, parendogli forse di udire in lontananza delle urla e delle detonazioni; poi correva più di prima, per riguadagnare i passi perduti.
Ad un tratto s’arrestò, dicendo con voce affannosa:
— Hai udito, Antao?...
— Non odo che il sangue che mi sibila agli orecchi e la mia respirazione disordinata, — rispose il portoghese con voce rotta.
— Mi sembra d’aver udito degli spari....