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18 Capitolo terzo

Il compagno s’affrettò a raggiungerlo e comprese subito la gravità della cosa.

— Ucciso o rapito? — chiese.

— Rapito!... — esclamò Alfredo, come fosse stato vivamente colpito da quella riflessione.

Ma poi, crollando il capo, aggiunse:

— Ed a quale scopo?... Rapire un servo?... Qui, quando si odia qualcuno lo si uccide; la vita d’un uomo vale meno di una fettuccia o di poche perle di vetro.

— Ma se l’hanno ucciso non si saranno di certo presa la briga di far scomparire il cadavere.

— Forse l’avranno gettato nella foresta.

— Cerchiamolo, Alfredo. Non ti sembra che queste erbe siano calpestate?

— Sì, sono curvate in vari luoghi.

— Seguiamo le tracce.

— Ma mi preme giungere alla fattoria, Antao; ho dei tristi presentimenti. Questo attacco improvviso in mezzo alla foresta, contro noi che siamo uomini bianchi, troppo temuti dai sudditi di Tofa e dei reami della costa, mi fa sospettare la presenza dei sanguinari negri del Dahomey.

— Taci!... —

Un grido acuto, straziante, ma un grido che pareva più emesso da una donna che da un uomo, era in quel momento echeggiato in mezzo alla tenebrosa foresta.

— Hai udito?...

— Sì, Antao.

— È un grido di donna.

— Sciagura su noi, Antao!...

— Ti ho detto che è un grido di donna.

— Lo so e perciò ho paura.

— D’una donna?... — chiese il portoghese al colmo dello stupore.

— Seguimi!... — disse il cacciatore, senza rispondere alla domanda.

Quel grido che pareva lanciato da una persona in pericolo, era echeggiato a tre o quattrocento metri dal grande sicomoro, in mezzo alla cupa foresta. Bastavano quindi pochi istanti per giungere sul luogo dove accadeva qualche grave avvenimento.

Alfredo aveva attraversata rapidamente la radura, ma giunto