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240 Capitolo trentatreesimo

inoltrarsi fra ortaglie e viuzze deserte ed oscure, procurando di tenersi sempre lontano dalle vie illuminate dai falò.

Dopo d’aver fatto fare al drappello dei lunghi giri, s’arrestò dinanzi ad un’alta palizzata formata però di sottili tronchi d’albero, la quale pareva che racchiudesse un vasto giardino.

— Ci siamo, — disse.

— Da Kalani?... — chiese Alfredo.

— Sì: questo è il suo giardino e laggiù vi è la sua casa.

— Dov’è l’entrata?...

— È qui vicina, ma vi saranno i due soldati a guardia.

— Li ridurremo all’impotenza. Noi siamo sacerdoti, quindi ci sarà facile avvicinarli. —

Ad un suo cenno scesero tutti da cavallo, incaricarono Gamani e Urada di guardarli e di sorvegliare il prigioniero, poi seguirono il vecchio negro.

Voltato un angolo della cinta, si trovarono dinanzi ad un cancello già aperto, ma guardato da due negri armati di fucile, i quali però pareva che non avessero bevuto meno degli altri, perchè si tenevano entrambi appoggiati alla palizzata, come se le loro gambe li reggessero a fatica. Vedendo tuttavia avvicinarsi quel gruppo di persone si raddrizzarono, tentennando e chiedendo chi fossero.

— Guardiani dei feticci che cercano Kalani, — rispose il padre di Urada.

— Il padrone è ancora dal re, — dissero.

— Tornerà questa notte?...

— Lo aspettiamo per accompagnarlo a Kana. —

In quel momento Alfredo, Antao ed i due schiavi, che si erano avvicinati, si scagliarono d’un colpo solo sui due soldati afferrandoli per la gola onde impedire loro di gridare e con due pugni sul capo, abilmente dati, li mandarono a cadere l’un sull’altro.

— Imbavagliateli e spogliateli, — comandò Alfredo.

— Perchè spogliarli? — chiese Antao.

— I nostri dahomeni si metteranno qui in sentinella, dopo che avremo occupata l’abitazione. Se Kalani non vedesse le due guardie potrebbe insospettirsi ed invece d’entrare prendere il largo. —

I due schiavi furono lesti ad eseguire quegli ordini, poi afferrarono i due negri e li trasportarono sotto una tettoia che si