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236 | Capitolo trentaduesimo |
Urada, già istruita da Alfredo, aveva subito cominciato l’interrogatorio.
— Se ti preme salvare la vita, tu parlerai, — gli aveva detto. — Questi uomini, che sono nemici di Geletè, sono terribili e se ti ostinerai a tacere ti scorticheranno vivo, mentre se parlerai ti regaleranno tanto oro da comperare diecimila cauris. —
Il giovane sacerdote, udendo parlare d’oro, ebbe un sorriso da ebete, ma i suoi occhi mandarono un lampo di cupidigia. Come tutti i suoi compatrioti doveva essere venale.
— Guarda quest’uomo, — continuò Urada, indicando Alfredo che era allora entrato assieme ad Antao. — È il fratello del ragazzo dalla pelle bianca, che Kalani teneva prigioniero nel recinto sacro. Mi comprendi?...
— Sì, — rispose il sacerdote.
— Quest’uomo che non è un negro come ti sembra, ma un bianco, vuole riavere suo fratello che Kalani gli ha rapito e lo avrà, dovesse uccidere Geletè e mandare un esercito di europei a distruggere il Dahomey. Se tu ti ostinerai a tacere e ti rifiuterai di aiutarlo, fra un mese Abomey verrà presa d’assalto dagli uomini bianchi e data alle fiamme.
— Ma sa il re del pericolo che corre il suo regno? — chiese il sacerdote, con voce tremante.
— Lo saprà domani: intanto comincia tu a parlare, se vuoi risparmiare al Dahomey questo disastro.
— Cosa devo fare?...
— Dire dove è stato condotto il fanciullo dalla pelle bianca che fino a ieri si trovava prigioniero nel sacro recinto.
— Ma io lo so.
— Allora ce lo dirai.
— Si trova nella casa di Kalani.
— Da quando?...
— Da stamane.
— Perchè l’ha condotto nella sua casa?...
— Aveva dei timori. Un negro che veniva dai paesi dei Krepi lo aveva avvertito che degli uomini bianchi avevano lasciato il regno degli Ascianti per venire qui a rapire il ragazzo. —
Udendo la traduzione di quelle parole, Antao e Alfredo si erano guardati in viso con stupore e con inquietudine.
— Chi può averci traditi?... — chiese il portoghese. — Nessuno poteva sapere che noi eravamo venuti dal paese degli Ascianti.