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La scomparsa di Gamani | 17 |
fredo s’arrestò dinanzi ad uno spazio aperto, in mezzo a cui giganteggiava solitario un sicomoro dal nero fogliame, che spandeva all’intorno una cupa ombra.
— Ci siamo? — chiese Antao, con voce affannosa.
— Sì, — rispose il cacciatore, — ma....
— Lo vedi?
— Fa troppo oscuro e poi si sarà nascosto fra le foglie del sicomoro.
— Odi nulla?
— No, Antao, e ciò mi inquieta.
— Chiamalo. —
Alfredo accostò ambe le mani alla bocca formando una specie di porta-voce e chiamò replicatamente, ma senza gridare troppo forte:
— Gamani!... Gamani!... —
Nessuno rispose a quella doppia chiamata.
— Gran Dio!... — mormorò il cacciatore, con angoscia. — Cos’è accaduto di lui?...
— Sei certo che questo sia il posto? — chiese il compagno.
— Non m’inganno io, Antao. L’abbiamo lasciato ai piedi di questo sicomoro.
— Che una belva lo abbia divorato?... Quei colpi di fucile...
— Vediamo, se è stato divorato da qualche leopardo o da qualche leone, troveremo almeno la sua carabina.
— Spero che non l’avranno mangiata.
— Vieni. —
Armò il fucile e strisciò verso l’albero gigante, mentre il suo compagno sorvegliava i dintorni, temendo che apparissero i misteriosi nemici.
Giunto ai piedi del sicomoro, il cacciatore guardò fra i rami, ma faceva troppo oscuro per poter discernere qualche cosa. Ripetè la chiamata, ma non ottenendo alcuna risposta, fece il giro dell’enorme tronco esaminando attentamente le erbe che crescevano all’intorno.
Aveva quasi compito il giro, quando vide a terra qualche cosa di bianco, semi-nascosto fra le grasse graminacee. Allungò una mano e raccolse un cappello di foglie intrecciate e che gli era ben noto.
— Il cappello di Gamani!... — esclamò. — Il disgraziato è stato ucciso!... A me, Antao. —