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232 | Capitolo trentaduesimo |
Capitolo XXXII
L’incendio del recinto sacro
I guardiani dei feticci, strappati alle loro libazioni dallo spaventevole fracasso prodotto dal loro compagno, si erano affrettati a lasciare la capanna per vedere di che cosa si trattava, ma non erano usciti tutti. Cinque di loro, probabilmente incapaci di tenersi in piedi per aver voluto fare troppo onore alle bottiglie del re, erano rimasti sdraiati sulle stuoie e forse si erano subito riaddormentati.
D’altronde nemmeno quelli che si erano risoluti ad uscire, si trovavano in migliori condizioni, poichè s’avanzavano attraverso i viali puntellandosi gli uni cogli altri e descrivendo delle serpentine molto accentuate. Qualcuno anzi era già caduto fracassando la lanterna che portava e si arrabattava, ma invano, per rimettersi in piedi.
Alfredo, Antao e Gamani incontratisi con quei sette od otto ubriachi, li caricarono con impeto irresistibile, tempestando a destra ed a manca pugni formidabili che risuonavano come colpi di grancassa su quelle teste lanute.
Bastarono cinque secondi per mandare a gambe levate i sacerdoti di Geletè; i pugni avevano completato gli effetti troppo alcoolici delle bottiglie reali.
— Morte di Nettuno!... — esclamò Antao, quando li vide tutti a terra e nell’assoluta impossibilità di fare un movimento, tanto li avevano storditi quella scarica di scappaccioni. — Cosa facciamo ora di questi ubriachi?... —
Alfredo, invece di rispondere, s’abbassò rapidamente su quell’ammasso di corpi, afferrò un braccio e tirò fuori il più piccolo ed il più magro di tutti. Era un negro assai giovane poco più d’un ragazzo.
— Tieni questo, Gamani, — disse al servo, — e non lasciarlo finchè te lo dirò io. Deve venire con noi.
— Nessuno me lo strapperà di mano, padrone.
— Ora spogliamo questi sacerdoti e copriamoci coi loro mantelli.
— Noi?... — chiese Antao stupito.