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Le stragi della «festa dei costumi» 223

— Un gesto solo basta per perderci tutti, — gli mormorò all’orecchio. — Se vuoi farci assassinare, alzati e parla.

— Non commetterò mai simile imprudenza, Alfredo, — rispose il portoghese, — ma queste atroci esecuzioni mi fanno diventare idrofobo.

— E credi che io sia tranquillo?... Darei dieci anni di vita per balzare alla gola di Geletè e di quella canaglia di Kalani. Queste scene mi fanno orrore, eppure sono costretto a frenarmi per salvare la nostra vita e quella del piccolo Bruno.

— Non mi muoverò, Alfredo. —

Intanto i sacrifici in grande erano cominciati dinanzi alla piattaforma reale.

Dopo la decapitazione di quei venti capi, erano stati sacrificati sessanta buoi, dodici cavalli ed un coccodrillo, poi una banda di sessanta negri fra uomini e donne.

Il sangue che usciva da quell’ammasso di corpi, scorreva per la piazza, arrossando i piedi di quelle migliaia di spettatori mentre un odore nauseante si espandeva in aria, quell’acre odore che si sente nei macelli.

Il popolaccio ed i soldati applaudivano freneticamente l’abilità del gigantesco carnefice e guazzavano in mezzo a quel sangue come se fossero diventati tigri. Con urla spaventevoli reclamavano nuovi sacrifici per placare gli spiriti irritati dei defunti monarchi.

Geletè non si faceva pregare. Ad un suo ordine nuove truppe di schiavi terrorizzati venivano spinti, a legnate, a pugni, e calci, in mezzo al vasto triangolo formato dalle amazzoni e nuove teste rotolavano a destra ed a manca.

Al grande giustiziere del re si erano uniti altri due carnefici e le pesanti ed affilate lame cadevano senza misericordia, mietendo le file di quei disgraziati prigionieri di guerra, mentre altri, forse gli aiutanti, raccoglievano le teste formando ai due lati della piattaforma due orribili piramidi.

Ad un tratto si fece un profondo silenzio. Sulla cima delle muraglie del palazzo reale erano saliti dei robusti soldati portando delle grandi ceste, specie di panieri che avevano una sola apertura dalla quale si vedeva uscire una testa umana.

In ognuna di quelle ceste era stato rinchiuso un povero negro, destinato a soddisfare le brame sanguinarie del popolo.

— Gran Dio!... — esclamò Antao, inorridito. — Cosa sta per succedere?...