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Il ritorno di Gamani 211

— Sarei ben contento, per ora, di non trovarmi dinanzi a lui. L’idea che possa riconoscermi, malgrado io sia pronto a tutto, mi fa gelare il sangue nelle vene.

— Sei irriconoscibile, padrone, e poi sono alcuni anni che non ti ha più veduto.

— È vero, Urada. —

I portatori ed il gran moce acceleravano allora il passo per giungere in città prima del pasto del mezzodì. La via reale era diventata piena, essendo aperta sull’altipiano, in mezzo ad una immensa prateria disseminata di gruppi considerevoli di capanne e di capannucce, le quali formavano i sobborghi della capitale.

Di tratto in tratto s’incontravano bande di soldati armati di fucili e di coltellacci, che traevano in città qualche drappello di schiavi destinati probabilmente alla festa dei costumi. Tutti quei disgraziati tenevano in bocca il tormentoso bavaglio di legno ed avevano gli occhi schizzanti dalle orbite. Certamente non ignoravano a quale terribile sorte eran stati votati.

Di passo in passo che Antao ed Alfredo s’avvicinavano alla capitale del temuto Geletè, le tracce delle sue orrende carneficine divenivano più numerose.

Pareva che i dintorni della città fossero diventati un immenso cimitero, messo sossopra da un esercito di iene.

Sotto i più grandi alberi si vedevano a dozzine teschi di morti, poi stinchi, tibie e costole umane, poi scheletri interi non ancora ben ripuliti dal becco degli uccelli da preda e che esalavano nauseabondi odori. Erano gli avanzi dei poveri prigionieri sacrificati nelle feste e poi colà trasportati a pasto delle belve feroci e degli avvoltoi.

Qualche scheletro si vedeva perfino inchiodato al tronco degli alberi ed Alfredo ed Antao ne videro uno, di alta statura, crocifisso sul tronco d’una palma con tre lunghe zagaglie e che teneva legato ai polsi un ombrello di cotone, simile a quello che adoperavano i missionari della costa, ed un paio di scarpe.

Probabilmente quel martire era stato sorpreso dalle guardie di Geletè mentre cercava di convertire alcuni abitanti e trattato in quel barbaro modo per ordine dello stesso re, facendogli appendere, per amara derisione, le scarpe, distintivo degli uomini bianchi e dei liberi negri della Repubblica di Liberia.

A duecento passi dalla capitale il drappello fu incontrato da un gran moce e da due cabeceri, scortati da due dozzine di