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Il ritorno di Gamani | 209 |
depose sulla pelle rossastra del suo servo un bello strato di nero intenso, poi appiccicò sul viso del fedele servo una lunga barba nera.
Attese che la tinta fosse bene asciutta, poi ordinò a Gamani di indossare un paio di calzoni rossi fiammanti, di stringersi le reni con una larga fascia di seta gialla e di gettarsi sulle spalle un grande mantello bianco infioccato e adorno di rabeschi rossi. Un ampio turbante, che gli nascondeva mezzo viso, bastò per completare la trasformazione.
— Credo che nessuno più lo riconoscerà, — disse ad Antao, guardando con viva soddisfazione il negro.
— Stava chiedendomi da dove era sbucato quest’uomo, — rispose il portoghese. — È assolutamente irriconoscibile e potrà avvicinare Kalani senza tema di venire riconosciuto. Ma tu sei un vero artista.
— Se non lo fossi non sarei italiano, — rispose Alfredo. — Siete pronti?
— È tutto caricato, — dissero Urada ed i due schiavi.
— Partiamo. —
Alfredo ed Antao salirono a cavallo, la giovane amazzone e Gamani aprirono i due grandi ombrelli a smaglianti colori e la piccola carovana si diresse verso il palazzo reale, destando coi suoi costumi pittoreschi, l’ammirazione della folla che gremiva la piazza.
L’orchestra diede fiato ai suoi istrumenti con un crescendo spaventoso, mentre le amazzoni, schierate su due file, presentavano le armi all’ambasciata, con un insieme ammirabile, facendo poscia due scariche in aria.
Il gran moce pregò gli ambasciatori di scendere dai loro cavalli e di prendere posto nelle due amache inviate loro dal re onde non si affaticassero durante il viaggio, poi diede il segnale della partenza.
Il drappello, scortato da otto amazzoni e seguìto da Urada, Gamani e dai due schiavi che conducevano i cavalli, si pose in marcia fra le grida della popolazione ed il fracasso dell’orchestra.
Attraversata la città fra due fitte ali di popolo plaudente, prese la via reale di settentrione, la quale corre, quasi diritta, fino alla capitale del regno.
Alfredo ed Antao, comodamente sdraiati nelle loro amache