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Il cabecero Ghating-Gan 207

Non essendo io strettamente sorvegliato come tuo fratello, potei uscire dalla capanna dei feticci e abbandonare la città prima che i sacerdoti se ne fossero accorti.

— E quali notizie rechi da parte del vecchio negro?

— Buone per noi. Domani mattina giungerà il recade del re ed una scorta per condurvi ad Abomey. Sembra che a Geletè prema di farvi assistere alle feste dei costumi e che accetti di buon grado le vostre proposte.

— Cioè quelle dei capi del Borgu, — disse Antao, ridendo.

— Ancora poche domande, poi ti lascerò riposare, — disse Alfredo.

Poi incrociando le braccia e guardandolo fisso, gli chiese con voce sibilante:

— Credi che io lo possa uccidere?...

— Kalani?... — chiese il negro.

— Sì, lui!...

— Bada, padrone. Kalani è potente quasi quanto Geletè.

— Ti dico che non lascerò il Dahomey se non l’avrò ucciso.

— Sarà una cosa difficile, ma non impossibile.

— Potrò adunque vendicarmi di tutto il male che mi ha fatto e liberare la terra da quel mostro sanguinario?

— Sì, ma bisognerebbe approfittare della festa dei costumi, quando tutti sono ubriachi.

— Me lo ha detto anche il padre di Urada.

— So dove potremo sorprenderlo.

— E tu mi condurrai colà?...

— Sì, padrone; anch’io odio Kalani e sarei ben contento di ucciderlo, come il popolo di Abomey sarebbe lieto di vederlo morto. Egli è l’anima dannata di Geletè e di Behanzin.

— Sta bene: lo ucciderò, — disse Alfredo con accento terribile. — Ora puoi riposarti. —

Gamani, che non si reggeva quasi più, sfinito dalla lunga e rapidissima marcia, s’affrettò ad approfittare del permesso sdraiandosi su di una cassa.

Alfredo e Antao fecero il giro dell’apatam per accertarsi che la piazza era deserta, poi s’accomodarono anche essi fra le casse, vicino ad Urada.

L’indomani, ai primi albori, venivano svegliati dalla banda di Ghating-Gan, la quale si dirigeva verso la capanna facendo un fracasso tale da svegliare anche un sordo.