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Il cabecero Ghating-Gan 205

— Sì, padrone, — rispose il negro, ridendo. — Il tuo fedele Gamani, che tu credevi morto fra le foreste dell’Ouzmè, la notte che fu incendiata la tua fattoria.

— Lave dell’Etna!... Gamani!... Ma chi ti ha mandato qui? Come hai saputo che noi ci troviamo a Kana?... Parla, spicciati!...

— Morte di Urano, Nettuno e di tutti i pianeti conosciuti ed ignoti!... — esclamò Antao. — Gamani!... Sei vivo o sei un’ombra?...

— Sono in carne ed ossa, padron Antao, — rispose il negro.

— Ma parla!... — esclamò Alfredo. — Non vedi che io muoio d’impazienza?... Chi ti ha mandato qui?...

— Un vecchio negro, padre di una amazzone che è con voi.

— Il padre di Urada!... — esclamarono Antao ed il cacciatore.

— Sì, sua figlia si chiama Urada.

— Ma eri ad Abomey?... — chiese Alfredo.

— Sì, padrone.

— Schiavo di Kalani, forse?...

— Sì, ma addetto al tempio dei serpenti e dei feticci.

— E di mio fratello, cos’è accaduto?... Parla, parla, Gamani!

— È vivo e porto i suoi saluti a te ed al padrone Antao.

— Ah!... Bravo piccino!... — esclamò il portoghese che era vivamente commosso. — Si è ancora ricordato di me!...

— Siedi, Gamani, — disse Alfredo, spingendo innanzi una cassa. — Tu mi sembri assai stanco.

— È vero, padrone. Ho percorso le tre leghe che separano Kana dalla capitale, quasi tutte d’un fiato, per tema di venire ripreso e sono sfinito. —

Antao sturò una bottiglia di ginepro, riempì una tazza e gliela porse, dicendogli:

— Bevi questo, poi parlerai. —

Il negro tracannò d’un colpo solo il forte liquore, poi riprese:

— Ho molte cose da raccontare. Sappi innanzi a tutto, padrone, che tuo fratello sta bene e che non corre alcun pericolo, essendo sotto la protezione del re e dei sacerdoti. Egli è diventato una specie di feticcio che lo mette al coperto dalle vendette di Kalani.

— Sa ormai che noi siamo qui?...