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La Città Santa del Dahomey 187

— Sì, padrone, — rispose la giovane negra, — e là potrò offrirvi un comodo alloggio nella casa di mio padre.

— Sei di Kana, adunque?...

— Sì, padrone.

— E tuo padre vive ancora?...

— Lo spero.

— Ma chi è tuo padre?...

— Un tempo era un cabecero addetto alla vigilanza delle tombe reali e che godeva la fiducia del re, ma intrighi di corte e gelosie d’altri aspiranti a quel posto importante, lo fecero cadere in disgrazia.

— Ah!... Tuo padre era un cabecero!... — esclamarono i due bianchi.

— Sì, — rispose Urada, con tristezza.

— Ma tu, figlia d’un capo, perchè sei diventata una semplice amazzone?... — chiese Alfredo, con sorpresa.

— Per calmare il re la cui collera poteva tornare fatale a mio padre. Le amazzoni del nostro paese non sono ragazze appartenenti a famiglie di bassa condizione, come da taluni si crede.

Si reclutano fra le fanciulle rimaste orfane, ma appartenenti alla classe dominante, fra le ragazze che per malvagità s’imputano di offese alla casa reale e che s’intende di punire coll’arruolamento e fra le figlie di coloro che sono caduti in disgrazia. Questo è il miglior modo per stornare le collere feroci di Geletè e salvare i genitori da una morte certa.

— È numeroso il corpo delle amazzoni?...

— Conta tremila ragazze, padrone.

— E formano una guardia destinata esclusivamente pel servizio del re?...

— Sì, ma guarda lassù, padrone, — disse in quell’istante Urada, indicandogli un attruppamento di punti biancastri, appollaiati sul margine d’un altipiano che s’alzava al di là del Koufo.

— Kana, forse?... — chiese Alfredo.

— Sì, la Città Santa, padrone, la mia città natìa, — rispose Urada, con una viva emozione.

— La rivedrai volontieri?

— Per mio padre.

— E poi ci lascerai, — disse Antao, con un tono di voce che aveva qualche cosa di triste.