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I misteri delle foreste | 13 |
come se venissero precipitosamente allontanati o spezzati, ma nessuna voce umana si fece udire.
Alfredo non esitò più. Puntò la carabina mirando là dove vedeva muoversi i rami degli alberi e fece fuoco, ma la detonazione non fu seguìta da alcun grido di dolore, anzi ogni rumore cessò e le piante ripresero la loro immobilità.
Antao aveva raggiunto prontamente il compagno e gli porgeva la propria carabina, ma Alfredo fece col capo un cenno negativo.
– È fuggito – disse poi.
– L'hai mancato?...
– Lo credo.
– Ma chi era?...
– Qualcuno che ci spiava.
– Un negro di Tofa?...
– Temo che sia un dahomeno.
– Un dahomeno qui?... Uno di quei negri sanguinari su questo fiume?
– Sì, Antao.
– Mi sembri agitato, Alfredo.
– È vero, sono inquieto.
– Ma perché?...
– Sono accadute troppe cose questa notte, per non allarmarmi, Antao. Torniamo alla mia fattoria.
– E gli ippopotami?
– Torneremo domani. Bisogna che io veda Gamani.
– Lo troveremo con quest'oscurità?...
– Conosco questi boschi.
– Ma l'uomo che è venuto a spiarci, non ci tenderà un agguato?...
– Siamo armati e non lo temo.
– Andiamo, giacché lo vuoi. Apriremo bene gli occhi e terremo un dito sul grilletto delle carabine.
Stavano per abbandonare l'isolotto e scendere sul banco per raggiungere l'imbarcazione che era rimasta arenata, quando in mezzo ai boschi si udì rintronare uno sparo.
Alfredo si era arrestato mandando un grido, che aveva qualche cosa d'angoscioso.
– La carabina di Gamani! – esclamò.
– O del negro che è fuggito? – chiese Antao.