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170 | Capitolo ventitreesimo |
— Capo, — disse, — noi non comprendiamo il tuo linguaggio, ma qui vi sarà qualcuno che possa rispondermi.
— Tu parli la lingua dei Popos?... — chiese il vecchio negro con gioia.
— Sì, e sono lieto che tu mi abbia capito. Mi dirai ora il motivo per cui hai fatto rapire noi che siamo uomini bianchi.
— Perchè voi siete due fabbricatori di pioggia. —
Udendo quella risposta, Alfredo non potè trattenere una irriverente risata.
— Hai capito, Antao? — disse. — Credono che noi possiamo fabbricare la pioggia.
— Fabbricare la pioggia?... — esclamò il portoghese, stupito. — Cosa vuol dire ciò?...
— Pare che questi negri abbiano bisogno dell’acqua del cielo per fecondare le loro terre, arse forse da una siccità troppo prolungata e che ci abbiano presi credendo, in buona fede, che noi abbiamo il potere di far accorrere le nubi.
— Bel paese di pazzi!... E così?...
— Vediamo se possiamo far capire loro che hanno preso un grosso granchio. —
Si volse verso il capo che attendeva ansiosamente una risposta, dicendogli:
— Tu hai sognato, vecchio mio. Gli uomini bianchi non hanno mai avuto questo potere. —
Il negro non parve che si indispettisse per quella risposta, poichè rispose con tutta calma e quasi sorridendo:
— L’uomo bianco crede che la mia tribù sia avara e che non voglia compensarlo, ma s’inganna. Noi daremo a te buoi, pecore, burro e birra di sorgo e di miglio.
— Ti ripeto che gli uomini bianchi non sono mai stati fabbricatori di pioggia.
— Tu vuoi burlarti di noi. Sappiamo che gli uomini dalla pelle bianca sanno fare mille cose che noi non possiamo ottenere.
— Ti ripeto che t’inganni.
— No, perchè l’uomo che veniva dai lontani paesi del sole che tramonta, ci ha detto che voi possedete la magia di far tuonare le nubi e cadere la pioggia.
— Di quale uomo parli?... — chiese Alfredo, con viva sorpresa.
— Di un negro il quale è già partito perchè aveva fretta di tornare nel suo paese, nel Dahomey, ma prima di lasciarci ci