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162 | Capitolo ventitreesimo |
— Ai morti?... Sei pazzo, Antao?
— Non mi sembra che l’elefante abbia guastato il mio cervello, quantunque m’abbia fatto provare un così cattivo momento, che non lo augurerei nemmeno ad un antropofago. Non vedi che sono in compagnia di tre cadaveri?
— Ma chi ti ha gettato lì dentro?...
— I facucheri.
— I facocheri!...
— Sì, i facocheri come li vuoi chiamare.
— E sei lì dentro da ieri sera?...
— E ci sarei rimasto chissà fino a quando, senza di voi.
— Oh!... Disgraziato amico!...
— Lascia andare i compianti e gettami una corda. Sono imbrattato di fango peggio d’un maiale. Quell’indiavolato elefante aveva una tonnellata di zavorraccia nello stomaco e mi meraviglio che non mi abbia accoppato con quella scarica. Auff! Pareva una tromba marina!... —
Asseybo ed Alfredo si erano affrettati a levarsi le cinture di cotone che portavano ai fianchi, lasciandole pendere nella trappola. Il portoghese stava per aggrapparvisi, ma le lasciò subito andare.
— Non sali?... — chiese Alfredo.
— Aspetta un po’, amico, — rispose Antao. — Vi è la bottega d’un macellaio in questa buca. Che la carcassa della iena rimanga qui a imputridire non m’interessa, ma i due porci voglio portarmeli via.
— Lascia andare, Antao. Durante il nostro assedio ne abbiamo uccisi sei o sette.
— L’assedio?... Oh diavolo!... Io nella buca e voi sul baobab! Non avrei mai supposto che questi brutti porci fossero così ostinati. Tenete saldo!... —
S’aggrappò alle fasce e si lasciò tirare in alto. Quando si trovò fuori da quella trappola, che per poco diventava la sua tomba, forse per la prima volta in vita sua lasciò in pace i pianeti per lanciare un interminabile «oh!...» di soddisfazione.
— Grazie, Alfredo, — disse poi; — ma mi dirai almeno come avete fatto a trovarmi fra questa oscura foresta.
— Te lo racconterò camminando. Affrettiamoci a ritornare al campo, poichè questa foresta mi pare che pulluli di animali