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146 Capitolo ventunesimo

— Io, un bianco, un europeo?

— Non saremo più bianchi allora.

— Cosa vuoi dire?... Possibile che la mia pelle sia diventata così nera da credermi un discendente di Caam?...

— Lo diverrai: ho portato con me tutto l’occorrente per darci sulla pelle una superba tinta color fuliggine o cioccolata. —

Antao scoppiò in una fragorosa risata.

— Ridi pure, ma ti dico che noi ci dipingeremo così bene, da ingannare anche Kalani.

— E ci vestiremo anche da negri?...

— Sì, Antao, ma da negri d’alto lignaggio. Nelle mie casse vi è tutto l’occorrente.

— Ecco perchè ci tenevi tanto alle casse che ti avevano rubato!...

— Certo, e soprattutto pei regali che ho destinato a Geletè ed ai suoi cabeceri.

— Ma credi tu, Alfredo, che tale mascherata sarà possibile, senza destare dei sospetti in quel furfante di Kalani?...

— Vedrai che nessuno più ci conoscerà! Ho portato con me perfino delle bellissime barbe nere come portano i ricchi del Borgu e delle parrucche da negro.

— E che cosa andremo a proporre a Geletè?...

— Qualche trattato d’amicizia, un’alleanza difensiva od offensiva per esempio. Geletè sa che gli uomini del Borgu sono valorosi e si guarderà bene dal rifiutare e ci riceverà coi dovuti onori.

— Magnifico progetto!... — esclamò il portoghese.

— Ne convieni?...

— Certo, Alfredo.

— Credi possibile la sua riuscita?...

— Ho piena fiducia, ma quando saremo entrati in Abomey, come faremo a liberare tuo fratello?...

— Lo si vedrà.

— E Kalani?...

— Lo ucciderò, — disse freddamente il cacciatore, mentre un lampo d’odio gli balenava negli sguardi.

Poi volgendosi verso Urada:

— Hai compreso tutto?...

— Sì, padrone, — rispose la giovane negra.

— Hai delle obbiezioni da fare?