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138 | Capitolo ventesimo |
paese, anche i cavalli e gli asini, non si servono mai di questi animali e non conoscono poi affatto nessuna specie di rotabile.
Gli otto portatori, che procedevano speditamente, in pochi minuti entrarono in Abetifi, aprendosi faticosamente il passo attraverso una folla di negri colà radunata pel mercato.
Abetifi è una delle più importanti e più popolose città del regno, situata a circa ottanta chilometri dal Volta, ed a cento da Cumassia, che è la capitale degli Ascianti.
Non ha che poche case di legno che servono d’abitazione all’assafo oinè, al dikero ed ai cumfos o sacerdoti incaricati di vegliare sui feticci; le altre sono semplici capanne circondate però quasi tutte da giardini e da orticelli, nei quali si coltivano ignami, manioca, fagioli di varie specie, ananas, popoya e certe specie di pimento assai forte largamente usato nella preparazione del fu-fu.
Ordinariamente la sua popolazione non supera le otto o diecimila anime, ma nei giorni di mercato il numero si raddoppia.
I due europei, fatti segno della curiosità di tutti i negri affollati sul mercato, in pochi minuti attraversarono la città e furono deposti dinanzi ad una casetta di legno, costruita con un certo gusto e decorata di stuoie variopinte.
Un negro già vecchio, perchè era molto rugoso, ma ancora robusto, coperto d’una lunga camicia bianca e colle gambe adorne di strani amuleti o sumieno, consistenti in cordoni di fibre di palmizio annodati ed arricchiti da pallottoline di vetro, da granelli d’oro traforati, da penne di pappagallo e da ciuffetti di peli, li attendeva dinanzi alla porta.
Era il dikero in persona, il quale voleva ricevere degnamente i due europei che erano stati così larghi di doni.
Per darsi l’aria d’un uomo civile, porse la destra ad Alfredo e ad Antao e li invitò a seguirlo, conducendoli in una stanza adorna di stuoie colorate ammonticchiate contro le pareti, in modo di formare dei sedili discretamente comodi e da alcuni feticci di terra grossolanamente plasmata, rappresentanti delle figure umane, ma che nella destra impugnavano una sciabola e nella sinistra una testa ed accuratamente imbiancati, essendo questa tinta il colore preferito dalle deità asciantine.
Alcuni schiavi recarono tosto un grande vaso di terra ripieno di vino di palma affinchè i forestieri, prima di cominciare la conversazione, si dissetassero, poi quando ebbero bevuto, il dikero,