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Sulle terre degli Ascianti | 133 |
vavano qua e là, si udivano scoppi di risa, dei ruggiti bassi e profondi, delle urla di sciacalli e talvolta anche quei fischi strani, rauchi, che annunciano la presenza dei rinoceronti, i più brutali ed i più irritabili animali della creazione.
I poveri cavalli udendo quel concerto tremavano come se avessero la febbre ed esitavano a tirare innanzi, ed anche i due dahomeni non erano tranquilli; ma Asseybo si mostrava calmo sapendo quanto valevano i suoi padroni.
Verso la mezzanotte, quando le casette della cittadella cominciavano ad imbiancarsi sotto i primi raggi dell’astro notturno il quale allora spuntava all’orizzonte, un grosso leone che stava sdraiato in mezzo ad un cespuglio presso il quale doveva passare la carovana, s’alzò con un grande salto, mostrando delle intenzioni poco pacifiche, ma vedendo i due cacciatori muovere incontro a lui colle carabine spianate, dopo un momento di esitazione credette miglior partito di prendere il largo. Con quattro o cinque balzi mostruosi si rintanò sotto un altro cespuglio e non si mosse più, limitandosi a far udire dei bassi brontolii.
Più tardi due grosse iene macchiate che stavano appiattate dietro alcune rocce che si ergevano solitarie sulla vasta pianura, tentarono di gettarsi improvvisamente sui cavalli nel momento in cui questi passavano a breve distanza, ma Asseybo appioppò sul muso della più vicina un così potente colpo col calcio del suo fucile da costringerla ad una precipitosa fuga, urlando di dolore. La compagna, spaventata da simile accoglienza, s’affrettò a seguirla con tutta la rapidità delle sue agili gambe.
Alle tre, quando ad oriente gli astri cominciavano ad impallidire, la carovana giungeva dinanzi ai primi villaggi di Abetifi i quali formavano una specie di sobborgo intorno alla città.
Più che villaggi erano minuscoli attruppamenti di capanne abbastanza male costruite.
Quelle catapecchie, di forma conica, dove vivevano nell’interno, alla rinfusa, persone ed animali domestici, erano tutte fabbricate con tronchi d’alberi spalmati d’argilla ed avevano il tetto di foglie intrecciate.
Dinanzi però ad ognuna, per quanto fosse piccola e malandata, si scorgeva l’oquiamis duah, ossia l’albero dio, il quale consisteva in un piuolo con tre o quattro rami sostenenti un