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132 | Capitolo diciannovesimo |
Un’ora prima del tramonto, la carovana ripassava l’Afram, e superati pochi macchioni si trovava sul margine della grande pianura che doveva estendersi, quasi senza interruzione fino alla capitale degli Ascianti, a Cumassia.
Non essendo interrotta che da pochi gruppi d’alberi o da piante isolate, appena volti gli sguardi verso il sud-ovest, Alfredo ed Antao scorsero ad una distanza di otto o dieci miglia, un gruppo di dadi biancastri, attorno ai quali si stringevano moltissimi coni di colore oscuro.
— Abetifi? — chiese il portoghese.
— Sì, — rispose Alfredo. — Non è possibile ingannarsi.
— È vero, padrone, — dissero i due schiavi dahomeni.
— Siete stati in quella cittadella?...
— Sì, padrone.
— Credete che le vostre bestie possano resistere fino a quelle case?... È necessario che penetriamo in Abetifi prima dell’alba od i ladri ci fuggiranno.
— Lo potranno, rallentando un po’ la marcia.
— Sapete se domani vi è mercato in città?...
— Sì, padrone.
— Allora siamo certi di sorprendere quei furfanti. —
Fu concesso un riposo di quattro ore ai due cavalli, durante le quali ne approfittarono anche gli uomini, prevedendo che non avrebbero potuto chiudere gli occhi prima dell’indomani sera.
Alle dieci di sera, abbeverati abbondantemente gli animali, essendo scarsissima l’acqua in quelle vaste pianure calcinate dal sole, la carovana riprendeva la marcia attraverso a quegli strati d’erbe disseccate.
Procedevano lentamente, con precauzione, colle carabine armate sotto il braccio, servendo quelle alte erbe di ricovero ad una grande quantità di pericolosi animali, a serpenti pitoni lunghi sei e perfino sette metri che fra le loro formidabili spire stritolano un uomo come se fosse una semplice pagliuzza; a piccoli serpenti neri che posseggono un veleno quasi fulminante e contro il quale è vano ogni rimedio; a grossi ragni della specie dei migali che producono delle ferite gravissime e talvolta incurabili, ed a molti leoni, a leopardi ed a iene macchiate, le più audaci della famiglia, poichè osano perfino gettarsi contro gli uomini.
Di tratto in tratto, in mezzo ai gruppi di cespugli che si ele-