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128 Capitolo diciottesimo

Alfredo era passato prontamente dietro al tronco per evitare le zanne e la proboscide, poi dietro ad un altro che gli stava un po’ discosto e scivolò in mezzo ad un intricato macchione di cespugli.

L’elefante, trasportato dal proprio slancio, continuò la corsa sferzando furiosamente i tronchi degli alberi, ma ad un tratto le forze lo abbandonarono e cadde sulle ginocchia, lanciando una nota più lamentevole e meno possente.

In quel momento Antao e Asseybo, non vedendosi più inseguiti, ed avendo udito lo sparo del compagno erano ritornati sul campo della lotta.

Avevano ricaricate le armi ed accorrevano in aiuto al valoroso cacciatore.

Vedendo l’elefante dibattersi in mezzo alle piante e fare sforzi disperati per rialzarsi, gli si avvicinarono ed a soli dieci passi fecero una nuova scarica.

Fu il colpo di grazia!... Il povero animale, che era già moribondo, alzò un’ultima volta la tromba vomitando un getto di sangue spumoso, poi stramazzò pesantemente al suolo, rimanendo immobile.

— Alfredo!... — gridò Antao, raggiante di gioia. — È morto!... —

Il cacciatore che aveva allora ricaricata la carabina, balzò fuori dai cespugli, dicendo:

— Ecco una colazione ben guadagnata e condita con trecentocinquanta libbre d’avorio per lo meno. Asseybo, puoi preparare il forno per cucinare un piede di questo povero animale. —


Capitolo XIX

Sulle terre degli Ascianti


Mentre il negro, aiutato dai due dahomeni che si erano affrettati ad attraversare il fiume coi cavalli, scavava una buca profonda che doveva servire di forno e facevano raccolta di rami secchi per riscaldarla per bene, Alfredo, armatosi d’una scure, tagliava a gran colpi i piedi anteriori del colosso e faceva a pezzi la proboscide.