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122 Capitolo diciottesimo

Capitolo XVIII

Caccia ad un elefante


Antao, udendo quelle parole pronunciate in tono quasi imperioso, e comprendendo che stava per accadere qualche cosa di straordinario, aveva abbandonato prontamente le liane ritirandosi sul grosso ramo che gli aveva servito di rifugio.

Alfredo, nascosto in mezzo al fogliame, gli additava silenziosamente un grande macchione di mimose che stava di fronte a loro. Girò gli sguardi da quella parte e vide due ombre uscire fra gli alberi ed avanzarsi prudentemente allo scoperto.

Quantunque la luna mancasse, gli astri proiettavano una luce sufficiente per distinguere un oggetto od un essere vivente di dimensioni non troppo piccole, ed Antao, che aveva gli occhi buoni, vide subito di che cosa si trattava.

Quelle due ombre erano due negri di alta statura, quasi nudi, ma entrambi armati di fucile. Si erano arrestati a breve distanza dal bombax e curvi innanzi, pareva che ascoltassero con profondo raccoglimento.

— I cacciatori d’elefanti?... — chiese Antao ad Alfredo con un filo di voce.

— Non lo so, — rispose l’interrogato.

— O che siano i nostri ladri?...

— Lo sospetto.

— Bella occasione per fucilarli tutti e due.

— E per far fuggire gli altri colle nostre casse e coll’amazzone. No, Antao, non bisogna far loro sapere che noi siamo così vicini o chissà dove potremo raggiungerli.

— Ma...

— Taci!... —

I due negri dopo d’aver ascoltato per parecchi minuti, si erano rialzati e certi di essere soli in mezzo a quel bosco, si erano scambiati delle parole in lingua uegbè, che Alfredo ben conosceva.

— Più nulla, — aveva detto l’uno.

— No, — aveva risposto l’altro.

— Credi che gli elefanti avranno continuata la loro corsa indiavolata?...