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102 Capitolo quattordicesimo

Antao ed Alfredo, credendo che sotto le macchie si celasse qualche leone, o qualche leopardo, invece di seguire i loro uomini si erano arrestati, armando precipitosamente i fucili, pronti a far fronte al pericolo.

Con loro non poca sorpresa, non udirono alcun ruggito, nè alcun urlo che potesse giustificare la paura dei negri e dei due cavalli, nè videro in alcun luogo muoversi i rami delle macchie.

— Ma che cosa avrà veduto Asseybo? — chiese il portoghese, sempre più stupito. — Eppure quel negro è coraggioso e non si spaventa per un nonnulla.

— Che abbia scambiato qualche grossa radice nera per un serpente?... — mormorò Alfredo. — Guardo dappertutto, ma non vedo assolutamente nulla che possa spaventarci.

Ad un tratto però udì in aria un acuto ronzìo ed alzati gli occhi, vide volarsi incontro uno sciame d’insetti un po’ più grandi delle nostre vespe. Un grido di terrore gli sfuggì:

— Antao!... Fuggiamo!... Le elovas!... —

Il portoghese, quantunque si meravigliasse che il compagno avesse tanta paura di uno sciame di vespe, vedendolo levarsi rapidamente la giacca, coprirsi la testa ed il viso e quindi fuggire a precipizio, credette saggia cosa imitarlo, correndogli dietro.

Le vespe però volavano rapidamente e come fossero furiose di vendicarsi, li perseguitavano senza posa, ronzando attorno a loro e cercando d’introdursi fra le pieghe delle giacche.

Alfredo, quantunque non potesse vederci bene, cercava dirigersi verso il luogo ove si udivano le grida dei negri. Pareva che avessero trovato un ricovero contro gli assalti di quegli ostinati insetti, poichè urlavano senza posa:

— Qui, padrone!... Presto, qui, padrone!... —

Attraversato un lembo della foresta, i due fuggiaschi scorsero i loro uomini ed i due cavalli tuffati in uno stagno che pareva fosse profondo, poichè non sporgevano che le loro teste.

Alfredo vi balzò dentro senza esitare ed il portoghese, che si sentiva addosso quelle dannate vespe, gli tenne dietro, mentre i negri, coi loro cappelli di foglie di cocco, respingevano i piccoli assalitori con abbondanti getti d’acqua.

Parve che quegli spruzzi riuscissero molto incomodi alle vespe perchè si affrettarono ad innalzarsi e quindi a volare verso i boschi in gruppo serrato.