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Sulle rive dell'Ousme 3

— Eppure ti ripeto che ho quasi paura e temo sempre un tradimento. Ecco perchè ho lasciato il mio servo Gamani a vegliare in mezzo alla foresta ed i miei porta-fucili alla fattoria.

— Ma chi è quell’uomo?...

— Un negro.

— Lo si cerca e lo si uccide con una buona fucilata.

— È lontano.

— Si va a trovarlo.

— È potente, Antao.

— Si raccoglie una truppa d’uomini risoluti e lo si va ad assalire.

— Nel Dahomey?...

— Là!... Ecco un nome che fa venire i brividi!... Brutto paese di macellai feroci. Diavolo!... Vorrei conoscere quest’istoria che ti mette indosso tante preoccupazioni.

— Te la racconterò, ma più tardi. Ora pensiamo agli ippopotami. Spero di essermi ingannato su quel grido e che nulla accadrà nella mia fattoria durante la nostra assenza.

— Vi sono i tuoi uomini che vegliano sul tuo nipotino e sulle tue ricchezze.

— Taci: ci siamo. —

Alfredo, che aveva continuato il cammino durante quella conversazione, seguendo sempre la riva destra del fiume, erasi arrestato dinanzi ad un grande albero del cotone, il quale si curvava verso la sponda e sul cui tronco si vedevano parecchie profonde incisioni che parevano fatte da poco tempo.

Il cacciatore l’osservò attentamente come volesse essere certo di non ingannarsi, poi s’inoltrò prudentemente fra i paletuvieri che si arrampicavano confusamente su per la sponda, afferrò una fune che stava legata attorno ad una grossa radice e diede una violenta strappata.

Tosto fra quell’ammasso di rami, di foglie e di radici, si vide avanzarsi uno di quei pesanti canotti scavati nel tronco d’un albero col ferro e col fuoco e colle punte assai aguzze, usati sui fiumi della Costa d’Oro e dell’Avorio.

Alfredo vi balzò dentro invitando il compagno a seguirlo, afferrò due remi dalla larga pala e spinse la pesante imbarcazione nella corrente, dirigendosi verso un isolotto coperto d’una fitta vegetazione che si trovava quasi in mezzo al fiume.

In pochi minuti attraversò la distanza e arenò l’imbarcazione