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86 Capitolo dodicesimo

— Dov’è? — chiese il cacciatore.

— È fuggito.

— Ma cosa è avvenuto?... Spicciatevi, parlate.

— Si è avvicinato al campo per assalirci, noi abbiamo scaricate le armi, ma poi abbiamo avuto paura e siamo fuggiti. Se l’avessi veduto come era furibondo!...

— Ma la negra?...

— La donna?... — esclamarono con stupore. — Non è nella tenda?

— No, è scomparsa.

— Allora l’ha rapita il mpungu.

— Ma l’avete veduto a rapirla?...

— No, padrone.

— Allora bisogna cercare il gorilla e ucciderlo, — disse Antao. — Non possiamo lasciare quella disgraziata nelle mani di quell’orribile mostro.

— Un momento di pazienza, Antao, — disse Alfredo. — Non precipitiamo le cose, innanzi tutto. Ditemi: quando il mpungu comparve presso il campo, dormiva ancora la donna?...

— Sì, padrone, — risposero i due schiavi.

— Quando siete fuggiti, l’avete veduta uscire?...

— Non lo sappiamo. Abbiamo avuto tanta paura dei ruggiti del mpungu, che ci siamo dati alla fuga senza più curarci del campo, nè della donna.

— L’avete almeno ferito il mostro?...

— Sì, padrone, poichè perdeva sangue da una spalla.

— Credete che la donna abbia avuto il tempo di fuggire?...

— Non è possibile, padrone. Il mpungu era a pochi passi dai fuochi.

— Asseybo, — disse Alfredo, volgendosi verso il servo. — Ho fatto mettere delle torce resinose nelle nostre casse. Guarda se ne trovi qualcuna.

— Ma dove saranno andate le altre casse?... — chiese Antao. — Ne avevamo dodici e non ne sono rimaste che quattro.

— Avete caricati i cavalli? — chiese Alfredo ai dahomeni.

— No, padrone.

— Ecco un mistero inesplicabile. È impossibile che il gorilla abbia portata via la donna e le nostre casse.

— Che il gorilla avesse dei compagni?...

— È possibile, Antao.