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ciato un ultimo sguardo sotto le gigantesche foglie degli jupati, tornarono ad imbarcarsi, ed afferrati i remi attraversarono il Capanaparo sbarcando sulla sponda opposta, sul margine d’una immensa foresta di cari (astrocaryum), sorta di palme dal fusto spinoso, che dànno delle frutta brune, lucide e grosse come le castagne e che pendono in forma di grappoli lunghi un buon piede.

Sono le foreste più difficili a superarsi, anzi talvolta sono inaccessibili perfino agli indiani ed alle fiere, poichè crescendo quelle piante le une assai vicine alle altre, formano una vera selva di spine acutissime e pericolosissime.

Il sole era già scomparso dietro grandi alberi e colle prime tenebre che calavano rapide sui due fiumi e sulle boscaglie, gli uccelli e le scimmie cominciavano a tacere. Non si udivano più che le grida scordate ma potenti di qualche banda di scimmie rosse, ma non dovevano tardare a farsi udire gli animali notturni, i formidabili giaguari, i coguari, i lunghi serpenti, ecc.

L’indiano discese pel primo, ascoltò con profonda attenzione, poi legò la scialuppa ed invitò gli uomini bianchi a sbarcare, dicendo laconicamente:

— Nulla.