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foreste, che si stendevano a perdita d’occhio a destra ed a sinistra dell’Orenoco.

Le acque, poco prima brune si tingevano di riflessi madreperlacei, mentre verso levante assumevano delle tinte rosee mescolate a pagliuzze dorate.

Gli abitanti delle rive si svegliavano rompendo dovunque il silenzio. Le scimmie rosse gonfiavano il loro gozzo emettendo le loro potenti grida ed i loro muggiti formidabili che si odono, senza difficoltà, a cinque miglia di distanza; i macachi, scimmie voraci ed agilissime, lanciavano le loro chiamate acute e s’agitavano sulle più alte cime degli alberi, cercando avidamente i nidi delle mosche-cartone per divorare i terribili insetti.

Sulla cima delle palme, i tucani dal becco grosso quasi quanto l’intero loro corpo, emettevano le loro grida bizzarre, dure e sgradevoli come lo stridere d’una ruota male unta; i pappagalli cicalavano svolazzando, mostrando le loro penne cremisine o gialle od azzurre; i bentivì, appollaiati all’estremità delle grandi foglie delle bananeire, salutavano la comparsa del sole emettendo il loro ben ti vi e l’Onorato nascosto in mezzo ai rami più fitti, gettava sul fiume le sue note musicali do... mi... sol... do.

La scialuppa di don Raffaele, spinta da una fresca