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296 | la città dell'oro |
sottanino pure di stoffa rossa. Era armato d’una cerbottana, ma l’aveva deposta ai propri piedi, come per dimostrare le sue pacifiche intenzioni.
Nel vederlo, Yaruri si era fermato mormorando:
— Tu, Sipana?
— Io, Yaruri — rispose l’indiano. — Avevi udito il segnale?
— Sì — rispose Yaruri con voce cupa.
— T’aspettavo da sette giorni.
— Come sapevi che io stavo per ritornare?
— Degli uomini fedeli t’avevano veduto cogli uomini bianchi.
— Erano quelli che ci affondarono la scialuppa?
— Sì.
— Chi sono?
— Cosa t’importa?... Sono indiani che non tradiscono la loro tribù.
— Ah! — fe’ Yaruri coi denti stretti. — E tu, cosa vuoi?... Perchè mi hai chiamato?... Chi è che ti ha mandato?...
— Yopi.
— Lui!... — esclamò l’indiano con voce rauca.
— Sì, Yopi.
— E cosa vuole da me?
— T’invita a ritornare nell’Orenoco.