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22 | la città dell'oro |
— Sì, padrone. È servita sulla terrazza.
— Vieni, Alonzo.
Entrarono nell’abitazione e salirono sulla terrazza, sempre seguiti dal taciturno indiano. L’intendente aveva già fatto allestire una succolenta cena fredda e fatta accendere una lampada.
Una fresca brezza, profumata di mille aromi, veniva dal fiume, facendo stormire le splendide e grandi foglie delle palme massimiliane ed i rami di passiflore che si estendevano lungo il parapetto.
Don Raffaele ed Alonzo si sedettero a tavola sturando una bottiglia di vecchio vino di Spagna, trasportato fino alla piantagione con molti pericoli e con molte fatiche.
— Hai fame? — chiese il piantatore, rivolgendosi all’indiano che si manteneva ritto in un angolo della terrazza.
— L’indiano che pensa alla vendetta non prova nè gli stimoli della fame, nè della sete, — rispose Yaruri.
— La vendetta verrà a suo tempo, amico. Puoi assaggiare queste costolette di manato che sono più deliziose di quelle d’un vitello.
L’indiano alzò le spalle e non rispose.
— Che uomini! — esclamò Alonzo.