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288 | la città dell'oro |
pesci, raje spinose, piraia, pemecrù, storioni, traira e cascudo.
Sette giorui dopo il naufragio della scialuppa, tutto era pronto per la partenza.
Imbarcarono i viveri accomodandoli a prua ed a poppa per meglio equilibrare il canotto e la mattina del settimo giorno lasciavano le sponde della savana tremante, salendo, senza incidenti, la cateratta.
Il canotto si comportava bene. Era molto più leggero della scialuppa e scivolava sull’acqua con poca forza. Due remi erano sufficienti per farlo avanzare con una rapidità di quattro miglia all’ora, permettendo ai naviganti in tale modo di scambiarsi.
Due giorni dopo giungevano alla foce del Vichada o Vicciada, fiume grossissimo che scende da ponente, un tempo conosciuto dai gesuiti che nei loro primi tempi avevano radunato su quelle sponde delle borgate d’indiani Salivi, ma poi dimenticato. Sbocca quasi di fronte al Tépapue, affluente che nasce invece nelle pianure d’oriente.
È colà che l’Orenoco cambia nome, prendendo quello di Athiele, nome dato, a quanto sembra, dagli indiani Ascaqui e Catupli.
S’arrestarono qualche giorno per provvedersi di carne fresca, abbattendo alcuni formichieri che avevano sor-