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264 | la città dell'oro |
che aveva misurata la profondità del fiume col picco della randa.
— Possiamo abbandonare la zattera?
— Non vi sono che due piedi d’acqua.
— Scendiamo.
Tutti abbandonarono i due tronchi mettendo i piedi su di un banco di sabbia appena sommerso, il quale si prolungava verso la sponda. Stavano per raggiungere i primi alberi che si curvavano sul fiume, proiettando una cupa ombra, quando Yaruri, che marciava alla testa, s’arrestò bruscamente.
— Cos’hai, Yaruri? — chiese don Raffaele.
— Ho udito muoversi dei rami, — rispose la guida.
— Che siano gl’indiani?
— Non lo so.
— Carichiamo le armi e procediamo con precauzione. Attenti alle frecce che possono essere intinte nel succo del curare.
— Non abbiamo da fare cogl’indiani — disse Yaruri, dopo d’aver osservata attentamente la riva.
— E con chi adunque?
— Guarda, padrone!
Don Raffaele, che aveva terminato di caricare il suo fucile, si fece innanzi e scorse, non senza un fremito, delle ombre vagare sotto i rami degli alberi.