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L'agguato degl'indiani 253

— I pesci maledetti?

— Sì, padrone!

— E....

Non potè finire. Un sibilo acuto si era udito in aria e poco dopo una freccia sottile, partita da un gruppo di cespugli situati su di un isolotto vicino alla sponda, si era piantata nell’albero, pochi centimetri sotto l’indiano.

Alonzo, che teneva il fucile in mano, rispose con una scarica.

Nessun grido si udì alzarsi fra i cespugli, ma in mezzo alla foresta che si stendeva sulla sponda, echeggiarono le quattro note dell’Onorato, do... mi... sol... do..., ma con un’intonazione ben diversa da quella di quei bizzarri uccelli.

— Sali, Yaruri! — esclamò don Raffaele. — E tu, Alonzo, prendi la mia carabina e fa fuoco sul primo uomo che si mostra.

L’indiano s’affrettò a raggiungere gli uomini bianchi.

— Presso di me sei al sicuro, — disse il piantatore. — Quei misteriosi uomini non osano lanciare le loro frecce contro noi.

— Padrone, — disse l’indiano, — la via ci è tagliata; i caribi popolano il fiume e se osiamo scendere ci faranno a pezzi.