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La cataratta d'Ature 235


— Mille tuoni! — esclamò don Raffaele, impallidendo. Abbiamo urtato?...

— Non è possibile, padrone, — rispose Yaruri. — Il passo è stato sempre libero.

— Forza, amici!

La scialuppa riguadagnò la via perduta, ma giunta nello stesso punto di prima tornò a urtare contro un ostacolo che non opponeva resistenza decisa, pur impedendo di proseguire.

Un grido di rabbia uscì dalle labbra del piantatore. Quasi nell’istesso istante si udì echeggiare il misterioso segnale.

— Non deve essere uno scoglio, — disse don Raffaele. — Tenete saldo, amici, e cercate di non perdere via o ci sfracelleremo.

Abbandonò il remo, si precipitò a prua, immerse un braccio nell’acqua e tosto emise un grido di trionfo.

— Ah i furfanti! — esclamò.

Levò rapidamente la navaja che portava alla cintola, l’aprì e vibrò un colpo furioso fra le acque spumeggianti. Tosto si videro due corde grosse un buon pollice e che parevano fatte di fibre vegetali, apparire a galla e quindi stendersi lungo la corrente.

— Avanti! — tuonò il piantatore, riprendendo il remo.