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230 | la città dell'oro |
Attraverso gli alberi che coprivano quelle isolette e quelle rupi che s’alzavano in forma di torri nerastre e semi-diroccate, si vedevano le onde accavallarsi, bianche di spuma, schiacciarsi, per così dire, attraverso ai passaggi, lanciando in aria una grande colonna di nebbia in forma d’ombrello, la quale si tingeva dei più splendidi colori dell’iride.
— Che rimescolamento d’acque! — esclamò Alonzo che ammirava la cascata, con viva attenzione. — Mi sembra impossibile che si possa superare quella corrente furiosa.
— Eppure passeremo, — disse don Raffaele. — Penserà Yaruri a guidarci.
— A vela?
— A remi, ma sarà necessario mettere in opera tutte le nostre forze e tutta la nostra abilità. Un colpo di barra male dato, basterebbe per farci naufragare. Spicciamoci: imbrogliamo le vele.
Tutti si misero all’opera. In pochi istanti tutta la tela venne calata e ripiegata attorno al piccolo bompresso ed alla boma della randa, poi vennero atterrati i remi. Alonzo si mise a prua, il dottore dietro di lui, don Raffaele a mezza barca e Yaruri a poppa essendo incaricato della direzione.
— Il passaggio? — chiese il piantatore.