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216 | la città dell'oro |
Il silenzio non era rotto che dai muggiti delle acque e da qualche grido emesso da un caimano, il quale si muoveva verso l’estremità della penisola. Gli animali da preda tacevano, forse perchè in quei dintorni mancavano.
L’indiano, dall’alto della sua amaca, sorvegliava però attentamente non solo le sponde, ma anche la corrente dei due fiumi. Egli sperava sempre di poter scoprire i misteriosi indiani, che avevano cercato di assassinarlo con una freccia avvelenata.
Vegliava da due ore, quando sulla sponda opposta del Meta, lontana circa due chilometri, scorse un rapido bagliore, poi, attraverso alle fitte piante, un punto luminoso che ora si allargava e ora s’impiccioliva.
— Che siano indiani erranti o quelli che ci precedono? — si chiese.
Stette immobile alcuni minuti, cogli sguardi sempre fissi su quel punto luminoso, poi, non sapendo a quale partito appigliarsi, decise di svegliare don Raffaele.
Stava per scendere dall’amaca, quando vide il caimano che si avvoltolava all’estremità della penisola, arrestarsi, poi scendere nel fiume e tuffarsi rapidamente.
Qualunque altra persona non avrebbe fatto gran caso a quella scomparsa ma l’indiano, abituato a no-